Maternità deprivate e infanzie negate nel nord-est del Brasile — di Eleonora Grossi
Pubblicato il 12 giugno 2023
In questo articolo si prenderà in esame il concetto di maternità da un punto di vista antropologico e critico a partire dall’opera di Nancy Scheper-Hughes “Death without weeping: the violence of everyday life in Brazil”1“Morte senza pianto: la violenza nella vita di tutti i giorni in Brasile” (1992), in cui viene affrontato il tema dell’elevata mortalità infantile nel nord-est del Brasile e della risposta emotiva di alcune madri di fronte alla perdita dei loro figli, la quale assume la forma di un’apparente indifferenza, connotata spesso dall’assenza di pianto. Per poter comprendere la complessità di questo fenomeno è necessario estraniarsi per un attimo dalla propria cultura di provenienza, mettere in discussione i modelli di genitorialità predefiniti e di stampo occidentale che abbiamo interiorizzato e adottare uno sguardo privo di giudizio che permetterà di individuare il significato culturale di una simile strategia di sopravvivenza, assunta da queste donne per far fronte alla violenza e all’indifferenza istituzionale rispetto alle condizioni di vita in cui si trovano a dover crescere i loro figli.
Un’etnografa militante
Nancy Scheper-Hughes è un’antropologa statunitense che attualmente insegna Antropologia Medica Critica all’Università di Berkley. Il suo approccio alla disciplina è di tipo militante, uno dei suoi obiettivi, infatti, è quello di svelare e rendere pubbliche particolari forme di violenza e sofferenza che prendono forma all’interno di rapporti di potere asimmetrici e che a lungo sono rimaste celate e marginalizzate. Scheper-Hughes ha svolto diversi studi sul traffico di organi umani, ha condotto numerose ricerche etnografiche in Irlanda, concentrandosi sul tema della salute mentale, così come in Sud Africa e in Brasile.
Sarà proprio in seguito a un periodo di ricerca in quest’ultima area di mondo durato venticinque anni che l’antropologa pubblicherà “Death without weeping: the violence of everyday life in Brazil” , complesso e denso libro intorno a cui verterà questo articolo.
Lo studio si svolge nel nord-est della nazione, nella città di Bom Jesus de Mata, in particolare nelle baraccopoli/ slum di Alto do Cruzeiro. Scheper-Hughes inizia la sua ricerca nel 1964 come addetta alla salute pubblica e allo sviluppo della comunità per i Corpi di Pace, negli anni Ottanta tornerà indossando i panni di antropologa medica. La sua etnografia è arricchita da preziose riflessioni sul suo ruolo di ricercatrice che sceglie di non restare sulla soglia, ma di entrare con “un piede nel terreno”, attraverso un coinvolgimento nelle dinamiche comunitarie che la porterà a mettere in discussione le sue convinzioni di partenza. La sua ricerca, infatti, è una co-costruzione che prende forma dai legami e dai rapporti diretti con la comunità, da una partecipazione attiva alle questioni sociali e da una presa di posizione personale che avrà delle conseguenze sulla sua indagine e sulla vita stessa delle persone incontrate.
I piccoli angeli di Alto
Durante il suo primo anno ad Alto do Cruzeiro Scheper-Hughes assiste ad un fenomeno estremamente comune che scuote profondamente le sue convinzioni: quell’anno, il 1964, più di 500 bambini moriranno prima di raggiungere il primo anno di età. Nel raccontare la sua prima esperienza a contatto con la mortalità infantile, nello stringere il corpo inerme di un bambino che non era riuscita a salvare, emerge chiaramente il suo personale retroterra emotivo, influenzato dalla propria cultura di provenienza. Nell’Occidente privilegiato la morte di un bambino è un evento raro e viene vissuto con estremo dolore, ma non sembra accadere lo stesso ad Alto do Cruzeiro. Infatti, quando Scheper-Hughes comunica in lacrime la notizia alla madre del piccolo, riceve una reazione di calma accettazione, di qualcosa che chiamerà “indifferenza”, una risposta condivisa da tutta la comunità. È proprio in seguito allo scontro violento con l’opacità della cultura che l’antropologa svilupperà una riflessione per comprendere il vero significato di questo stato emotivo di apparente indifferenza: quali condizioni sociali ed economiche possono causare la normalizzazione della mortalità infantile?
Per poter rispondere a questa domanda bisogna far riferimento ai dati sulla mortalità infantile che Scheper-Hughes ricostruisce faticosamente nel corso della sua ricerca. Nel XIX secolo anche in Inghilterra e in America era comune vivere la perdita del proprio figlio in tenera età, ma è molto difficile trovare dei dati attendibili a riguardo, questo perché inizialmente vigeva la tendenza a normalizzare e “routinizzare” la morte dei bambini, sia da parte delle istituzioni statali che quelle sanitarie. Solo intorno alla seconda metà del XIX secolo abbiamo le prime registrazioni scritte che attestano una presa di coscienza da parte della società sul fenomeno delle morti premature.
Il discorso sulla mortalità infantile è anche un discorso razziale e di classe che ha portato, in parte, alla sua invisibilizzazione, essendo proprio la classe povera, lavoratrice e afro-discendente quella maggiormente colpita, secondo Foucault, infatti: “It was of little importance whether these people lived or died”2“Contava poco se queste persone vivevano o morivano.”. Queste osservazioni permettono di iniziare a mettere luce sul significato dell’indifferenza, che secondo Scheper-Hughes: “is continuous with, and a pale reflection of, the official bureaucratic indifference of local agents of church and state to the problem of child mortality in North east Brazil today”3“È in continuità con, e un pallido riflesso dell’ufficiale indifferenza burocratica degli agenti locali della chiesa e dello stato di fronte al problema della mortalità infantile nel nord-est del Brasile oggi” da cui deriva la produzione sociale dell’indifferenza. La sorte di invisibilizzazione che tocca ai bambini di Alto do Cruzeiro trasforma la loro morte in un fenomeno gestito privatamente, a livello familiare e comunitario. Il funerale prevede una breve cerimonia da tenersi in casa, dove è possibile rendere omaggio al “piccolo angelo”, ma non è considerato socialmente appropriato piangerlo.
Per avvicinarsi alla comprensione di questa risposta culturale bisogna considerare che l’indifferenza di cui si parla agisce sempre su due livelli: la matrice è di tipo statale ed istituzionale e la sua risposta speculare può essere individuata a livello privato. Una grottesca prova del disinteresse statale nei confronti di queste morti è la “soluzione” del sindaco di Bom Jesus, il quale, “conscio” della problematica sociale, ha proposto una campagna in cui prevedeva di offrire una bara per bambini gratuita a tutti i cittadini votanti.
Tornando all’analisi dei dati sulla mortalità infantile, Scheper-Hughes osserva che nonostante lo sviluppo dell’economia brasiliana avvenuto nella seconda metà del XX secolo, lo strato sociale più povero delle zone rurali rimaneva ancora il gruppo maggiormente colpito dalle morti premature. Tra le cause mediche più registrate compaiono il vaiolo, il morbillo, la malaria e la polmonite, che uccidevano bambini di qualsiasi estrazione sociale senza distinzioni, mentre le classi povere soffrivano gli effetti della malnutrizione, della disidratazione e di infezioni causate da batteri. Una delle cause principali di queste morti premature era l’interruzione dell’allattamento al seno, da inserirsi sempre in un contesto di cattiva gestione delle condizioni sanitarie, in seguito al taglio delle spese pubbliche dedicate alla salute dell’infanzia. Le madri di questi bambini si esprimono chiaramente riguardo alle cause della morte dei loro figli: “they die because we are poor, because we are hungry, “because the water we drink is filthy with germs”, ” because we can’t keep them in shoes or away from this human garbage dump we live in”, “because we get worthless medical care”4“Muoiono perché siamo poveri, perché abbiamo fame, “perché l’acqua che beviamo è contaminata di germi”, “perché non possiamo comprargli delle scarpe o tenerli lontani da questa discarica umana in cui viviamo”, “perché riceviamo cure mediche inutili”.. L’industrializzazione in Brasile ha sicuramente supportato la natalità degli strati medio-alti, relegando la mortalità nelle periferie, lontano dagli occhi delle classi privilegiate.
La studiosa ricostruisce faticosamente una stima generale: ogni anno circa un milione di bambini perdevano la vita prima dei cinque anni, ovvero quaranta bambini ogni ora. Il 25% delle morti infantili in America Latina avveniva in Brasile e il 50% di queste si concentrava nella zona del nord-est, la maggior parte non raggiungeva il compimento del primo anno di età. Questi dati vanno situati in un contesto di inefficienza dei servizi di sanità pubblica, che, come abbiamo detto, molto spesso non segnalavano né le morti né le diagnosi di questi bambini.
La produzione sociale dell’indifferenza e della maternità
L’analisi sulla presunta indifferenza provata nei confronti della morte di un figlio deve essere svolta adottando un duplice punto di vista: la deprivazione materna, infatti, è intrinsecamente connessa alla ristrettezza economica e alle precarietà della vita ad Alto do Cruzeiro. Non è soltanto l’indifferenza ad essere prodotta culturalmente, ma anche il concetto di maternità è frutto del contesto sociale, economico e culturale, aspetti che danno forma e significato alle pratiche di cura, attaccamento e separazione.
Gli effetti di una mancanza materiale cronica si riversano sulle possibilità di una madre di nutrire, accudire e amare: di fronte alla scarsità si deve rispondere con una mancanza emozionale, perché provare attaccamento verso un bambino troppo debole per sopravvivere non è un lusso che queste donne possono permettersi. Il desiderio e l’amore, in questo modo, diventano sentimenti privilegiati, le madri di Alto vivono non soltanto un’esclusione economica e sociale, ma anche un’emarginazione emotiva, un’esclusiva delle classi benestanti. Questa stessa metafora può essere applicata anche alla percezione che queste donne hanno nei confronti dei loro corpi, troppo deboli, affamati e consumati per poter allattare i propri bambini con un latte considerato, tra le altre cose, infetto, nocivo. Nancy Scheper-Hughes decostruisce in questo modo quell’idea di legame e istinto materno che risponde ai modelli della psicologia occidentale, con le sue teorie dell’attaccamento e stati d’animo universali, inserendo questo concetto all’interno di un contesto sociale dominato da condizioni ostili e indifferenza. L’antropologa avvia questa riflessione sul concetto di maternità a partire da un’esperienza vissuta personalmente sul campo nel momento in cui decide di prendersi cura di un bambino, Ze-Ze, nonostante la sua famiglia fosse contraria. Secondo loro, infatti: “If a baby wants to die, it will die”5“Se un bambino vuole morire, morirà”. Per questi genitori di Alto, come per molti altri, non era la prima volta che un figlio debole decideva di abbandonarsi alla morte, al contrario di alcuni suoi fratelli e sorelle più forti, così questi bambini venivano lasciati in disparte, non si spendevano più energie per i disanimados, i senza vita, e si lasciavano morire. Messa di fronte ad un concetto totalmente alieno e distante dalla propria visione culturale, Scheper-Hughes decide di assumere una posizione differente rispetto a quella della comunità, curando il bambino per poi restituirlo alla madre. La sua decisione non è priva di criticità, si tratta di una scelta dettata dalla propria cultura di appartenenza, ogni etnografo può trovarsi di fronte ad un simile dilemma: che ruolo deve ricoprire un ricercatore nei confronti della comunità presso cui si trova? Esiste un limite al proprio coinvolgimento? Il rapporto tra antropologi e interlocutori non sarà mai totalmente simmetrico, ma esiste la possibilità di intervenire a favore della comunità, interrogandosi sugli effetti della propria posizione. Dopo una lunga permanenza sul campo, infatti, Scheper-Hughes non prenderà più un posizionamento così netto, ma arriverà a comprendere che la negligenza selettiva e il distacco emotivo sono considerate risposte materne appropriate in quel contesto sociale e la vera mancanza, perciò, è da individuarsi nel bambino, che fin dalle prime ore mostra la volontà di morire. L’idea di un figlio che rifiuta la vita è il modo in cui viene rielaborato il comportamento di questi neonati. Le madri, infatti, esprimevano una preferenza nei confronti di quei bambini che mostravano un carattere forte e combattivo, letto come una spinta verso la vita. Saper lasciar andare al momento giusto è un dovere per le donne di Alto, un gesto di benevolenza verso quei bambini fragili, questo perché si preferisce porre fine alle loro sofferenze prima che diventino adulti deboli, destinati in ogni caso a soccombere. Il concetto di vita e di morte ad Alto assume così un significato antitetico, sono i vivi che devono essere pianti, la morte, al contrario, permette di sottrarsi a una vita di privazioni e dolore: “Don’t waste any tears on them. Pity us… Weep for the mothers who are condemned to live”6“Non sprecare lacrime su di loro. Abbi pietà di noi… Piangi per le madri che sono condannate a vivere”.
È ricorrente la rappresentazione di corpi consumati, affamati, di bambini che risucchiano sangue e forza vitale dalle loro madri che, sopraffatte dalla mancanza, sono obbligate a decidere quale dei loro figli ha più volontà di sopravvivere e concentrare quelle poche energie su di loro. È importante ricordare che la metafora della mancanza va sempre accompagnata alla scarsità delle condizioni di vita, queste madri sentono di non aver nulla da offrire ai loro figli, sono state private persino del latte del loro seno. Le istituzioni statali si insinuano nella sfera privata delle donne di Alto, depredando a loro volta i loro corpi, assorbendo ogni fonte di vita e di speranza.
In questa analisi, così come nell’opera di Scheper-Hughes, si parla quasi esclusivamente di madri poiché il ruolo dei padri ad Alto do Cruzeiro risulta del tutto secondario in questa particolare dinamica. La cura dei figli è riservata esclusivamente alle donne, gli uomini sono spesso assenti e si limitano a procurare i beni materiali che riescono ad ottenere con il loro lavoro precario. Inoltre, il concetto di “nucleo familiare” si distanzia notevolmente dal modello di famiglia occidentale, infatti nel nord-est del Brasile: “Households were temporary, and babies and fathers circulated among them”7“I nuclei familiari erano temporanei e bambini e padri circolavano tra di loro.”. L’idea della circolazione dei bambini portava molte donne a lasciare alcuni dei loro figli appena nati davanti alle porte delle case o di fronte agli ospedali. Più in generale, queste madri erano indotte a considerare i bambini come una risorsa illimitata e sostituibile.Attraverso la negligenza selettiva si sceglie di trascurare volontariamente il bambino più fragile, il quale viene ritenuto l’unico responsabile della sua morte. Questa risposta permette di dislocare anche collettivamente la responsabilità di quella morte dalle spalle delle madri, che riescono a distanziarsi emotivamente da un bambino che non è e non diventerà mai un membro a pieno titolo di quella società. In questo caso i neonati non vengono considerati ancora come esseri umani, non rivestono alcun ruolo nella comunità e non possiedono nessuno status se non quello di “piccoli angeli”. Si tratta di creature liminali, a cui inizialmente non veniva attribuito nemmeno un nome, almeno finché non si fosse dimostrato abbastanza sano e forte o nel momento del battesimo. Spesso veniva scelto il nome del bambino che era morto precedentemente, oppure un nome generico come Ze o Maria. Questa “disumanizzazione” rientra nella serie di pratiche culturali e strategie di distanziamento emotivo assunte dalle donne, l’atto di nominare, infatti, renderebbe quel legame troppo forte da sopportare, attribuire un nome è anche un atto di socializzazione: senza il nome non si è ancora una persona sociale a pieno titolo. La breve cerimonia funebre, infatti, svolta in assenza del lamento che culturalmente si associa alla condizione del lutto, ma che in questo caso veniva considerato un gesto inappropriato, nasce con l’obiettivo di socializzare gli altri bambini che sono rimasti in vita, li invita ad accettare la morte dei loro amici e fratelli, li prepara a ciò che forse dovranno vivere loro stessi quando saranno genitori. L’umanizzazione dei figli viene cautamente rimandata ad un momento più sicuro, dopo essersi accertate della loro vitalità. Questo meccanismo viene applicato anche per quanto riguarda il cosiddetto attaccamento, le madri si legano certamente ai loro bambini, ma questo sentimento viene in qualche modo distanziato e posticipato, come pratica culturale di difesa.
È importante sottolineare che in queste strategie di sopravvivenza non vige un’assenza di amore materno e una completa apatia nei confronti della morte dei propri figli, si tratta piuttosto di un modo diverso di affrontare la perdita in condizioni estreme. Molte donne piangono la morte di alcuni dei loro figli a cui si sono irrimediabilmente legate, ma sanno anche che non potranno permettere a quel dolore di abbatterle, dovranno presto conformarsi alle aspettative comunitarie e andare avanti con la loro vita, soprattutto per coloro che sono rimasti.
La precarietà e la marginalizzazione riguardano sia le madri che i figli, oltre che l’intera comunità di Alto, e toccano tutti gli aspetti, da quelli sanitari a quelli economici e politici: “In the final analysis, the selective neglect of children must be understood as a direct consequence of the ‘selective neglect’ of their mothers who have been excluded from participating in what was once called the Economic Miracle of modern Brazil”8“In ultima analisi, l’abbandono selettivo dei bambini deve essere inteso come una conseguenza diretta della ‘negligenza selettiva’ vissuta dalle loro madri, che sono state escluse dalla partecipazione a quello che una volta era chiamato il miracolo economico del Brasile moderno”.
La recente rivoluzione della maternità nel nord-est del Brasile
L’immensa ricerca condotta da Nancy Scheper-Hughes nel nord-est del Brasile ha permesso di mettere in luce il ruolo della cultura, della storia e delle istituzioni nella costruzione del concetto di maternità, decostruendo allo stesso tempo l’assunto di un istinto materno universale e di un’ideale di “buona madre” incarnato da una donna bianca, occidentale, benestante e accudente. Solo rispondendo a questi modelli si evita l’accusa collettiva di inadeguatezza genitoriale. L’applicazione universale di questa norma non ha portato solo alla colpevolizzazione delle madri protagoniste di questo articolo, ma può essere particolarmente nociva per tutte quelle donne migranti che introducono nel paese d’arrivo un diverso modello di genitorialità e che si vedono strappare via i loro figli da istituzioni statali che ignorano i significati culturali dei loro gesti di cura.Nel 2001 l’antropologa torna nel nord-est del Brasile per condurre una ricerca sugli omicidi commessi dagli squadroni della morte di cui aveva già parlato in Death without weeping, e incontra nuovamente alcuni abitanti di Alto do Cruzeiro. Molti di loro, infatti, risultano essere parenti di alcune delle vittime, per la maggior parte bambini. Nel corso di questa ricerca, però, si imbatte in una scoperta sorprendente: dal 1990 la mortalità infantile ad Alto do Cruzeiro era calata drasticamente e alla fine degli anni ’90 si registravano solamente trentotto morti e ognuna di esse riportava accuratamente la causa medica. Ciò che aveva subito una vera e propria rivoluzione era il concetto stesso di maternità: le madri, che adesso potevano avere accesso ad un nuovo ospedale di recente costruzione, riferiscono all’antropologa di non voler avere più di due figli, si discuteva apertamente di contraccezione, ora finalmente accessibile, e nessuna di loro si aspettava di dover affrontare la perdita di qualche bambino in età precoce. Una nuova libertà riproduttiva ha permesso a queste donne di avere il numero di figli desiderati, scelta che prima spettava solo alle classi privilegiate. Tale rivoluzione ha avuto inizio con l’ascesa al governo del presidente Cardoso e della moglie antropologa Ruth Cardoso, che si sono occupati di rafforzare il sistema sanitario nazionale. La causa è stata successivamente portata avanti dal presidente Lula e dalla presidentessa Dilma Rousseff.
Dei semplici interventi ai programmi di salute pubblica, l’installazione di una vasta rete idrica e la distribuzione di beni primari e di cibo ha davvero permesso al concetto di maternità di trasformarsi, confermando la teoria proposta da Nancy Scheper-Hughes. Ora che le condizioni di vita permettono a queste donne di desiderare e di amare liberamente i loro figli non è più necessario mettere in atto determinate pratiche culturali di distacco emotivo per prepararsi alla perdita. Non sono più il fato, la rassegnazione, il volere di Dio ad agire, ma donne che hanno finalmente rivendicato la propria autodeterminazione. Il drastico calo della mortalità infantile avvenuto dagli anni ’90 in poi è la prova tangibile del ruolo che le istituzioni ricoprono nella costruzione di determinati modelli culturali e della responsabilità che hanno nei confronti della creazione di condizioni favorevoli alla nascita della vita.
Nancy Scheper-Hughes è riuscita a dare un volto all’indifferenza istituzionale, smascherando le dinamiche celate sotto il velo della colpevolizzazione, restituendo quel peso alla fonte originaria, mentre le donne hanno rivendicato il loro diritto alla maternità. Ma l’antropologa ricorda che la morte in alcune zone del Brasile è ancora presente, ha solo mutato forma e oggi indossa i panni degli squadroni della morte, gruppi di ragazzi armati che seminano violenza e crimini, uccidendo i civili come atto politico. E così, superata la prima difficile fase di vita, si deve sopravvivere all’adolescenza, età in cui si rischia di venire uccisi o reclutati dalle gang locali.
Riferimenti:
Bossen L., Reviewed Work(s): Death Without Weeping: The Violence of Everyday Life in Brazil by Nancy Scheper-Hughes, «Canadian Journal of Latin American and Caribbean Studies», 19 (37/38), 1994;
Engle P.L., Reviewed Work: Death without Weeping: The Violence of Everyday Life in Brazil by Nancy Scheper-Hughes, «Medical Anthropology Quarterly», Sep. 1994;
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Scheper-Hughes N., Culture, Scarcity, and Maternal Thinking: Maternal Detachment and Infant Survival in a Brazilian Shantytown, «Ethos», 13 (4), 1985;
Scheper-Hughes N., Death without weeping: the violence of everyday life in Brazil, Berkeley, University of California Press, 1992;
Scheper-Hughes N., No More Angel Babies on the Alto, «Berkley Review of Latin American Studies», Spring 2013;
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