L’Eternit di Casale Monferrato

Come l’antropologia può fare luce sui disastri invisibili legati all’amianto — di Giovanna Luciano
Pubblicato il 23 ottobre 2023

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Qualche giorno fa mi sono imbattuta in un video di un famoso progetto editoriale che si occupa di divulgazione scientifica online. In questo breve video un esperto affronta il tema della fabbrica dell’amianto “Eternit” di Casale Monferrato e dei conseguenti danni alla salute pubblica. Il divulgatore termina la spiegazione ponendo la domanda: “Ma la scienza non sapeva che l’amianto faceva male?”. Dopodiché prosegue riportando alcuni studi e affermando che solo grazie alla ricerca scientifica oggi sappiamo che l’amianto è dannoso per la salute e per questo motivo è meglio non utilizzarlo, conclude infine dicendo che la ricerca scientifica richiede tempo prima di arrivare dalla dimensione locale a quella globale di consapevolezza, per questo la risposta a questi problemi non è sempre immediata.
Queste affermazioni mi hanno portato a ripensare alla ricerca etnografica che ho condotto proprio a Casale Monferrato, insieme ai famigliari delle vittime dell’amianto e agli attivisti che ancora oggi lottano per ottenere un riconoscimento del danno subito e per evitare che ciò che è accaduto loro si ripeta altrove. Durante i mesi passati insieme a queste persone ho sentito parlare dell’importanza cruciale che ha avuto la ricerca, in particolare l’epidemiologia, nel riconoscimento dei danni alla salute causati dall’amianto; tuttavia il processo che ha portato a una presa di coscienza della cancerogenicità di questa fibra non può essere attribuito solo alla scoperta scientifica.
L’abolizione dell’amianto in Italia e in Europa è stato un percorso lungo, fatto di dibattito scientifico, ma anche di dinamiche politiche, economiche e sociali.

Foto di Giovanna Luciano

A Casale Monferrato la consapevolezza che l’amianto provocasse gravi malattie polmonari è arrivata prima della conferma scientifica, proprio per le morti premature di operai e cittadini. Le evidenze sono state prodotte, negli anni Ottanta, con gli studi epidemiologici, condotti dal dottor Terracini1Il professor Terracini Benedetto è un epidemiologo italiano, specializzato in epidemiologia dei tumori. Dal 1981 al 1999 è stato direttore dell’unità di epidemiologia dei tumori dell’Università di Torino. e i suoi collaboratori, sulle morti per mesotelioma e asbestosi nella fabbrica e nell’intera città. Nonostante ciò, prima che l’utilizzo dell’amianto cessasse a Casale passò diverso tempo, furono necessarie varie proteste da parte della comunità e una raccolta firme da parte di cento medici per portare il sindaco di allora a emanare la famosa ordinanza comunale che impedì il proseguimento della produzione di materiali contenenti amianto nel 1987. Mentre per ottenere il divieto in tutta Italia si dovette aspettare fino al 1992 e in Europa addirittura fino al 2005.
L’intento di questa introduzione non è quello di sminuire l’importanza della ricerca scientifica nella presa di consapevolezza della dannosità di questo materiale, ma piuttosto ampliare il ragionamento anche ad altri fattori che entrano in gioco quando si parla di un disastro ambientale come quello causato dall’amianto.
La vicenda dell’Eternit e più in generale dell’utilizzo dell’amianto nella produzione industriale può aiutarci a riflettere sulla complessità di tali fenomeni, che si sviluppano in seguito a una concatenazione di eventi definibili non solo dal punto di vista scientifico.

Due città, due disastri
Secondo l’antropologia dei disastri2L’antropologia dei disastri è una area di studio dell’antropologia che si occupa di analizzare i disastri ambientali attraverso uno sguardo antropologico, che quindi prende in considerazione non solo i dati e la conoscenza scientifica, ma anche le dimensioni politiche, economiche, sociali e culturali di un disastro., un evento catastrofico non si manifesta in modalità identiche in luoghi diversi, ma  può avere risultati differenti a seconda della vulnerabilità della comunità su cui si abbatte. Questa vulnerabilità che dipende anche da elementi sociali, culturali, economici e politici che concorrono alla produzione del disastro. Le “interconnessioni fra credenze, strutture politiche, istituzioni sociali e relazioni di potere”3D. Ligi, Antropologia dei disastri, Roma-Bari, Laterza, 2014. possono influenzare l’esito di una catastrofe andando ad agire sulla possibilità da parte delle comunità esposte di reagire al danno subito.
Un caso studio calzante – anzi due, ma interconnessi – sono quelli di: Casale Monferrato con la fabbrica Eternit e Broni con la Fibronit.

Foto di Giovanna Luciano

Durante una chiacchierata con Bruno Pesce, una delle figure più attive nell’associazione AFEVA4Associazione Familiari e Vittime dell’Amianto. di Casale Monferrato, sono rimasta colpita da un aneddoto riguardante una signora di Broni; la quale aveva scoperto che la via di fronte a casa sua era stata realizzata da materiali contenenti amianto. La signora si allarmò, soprattutto per il suo bambino, la cui finestra della cameretta si affacciava proprio su quella strada. Perciò decise di rivolgersi al comune per richiedere la rimozione del materiale cancerogeno, tuttavia non le fu concesso di bonificare il viottolo, pur dichiarando che avrebbe finanziato i lavori a spese proprie. Questo episodio mette in luce le difficoltà della comunità di Broni nella gestione del danno ambientale. Secondo Bruno il comune non possedeva le strutture burocratiche e le procedure adeguate per la bonifica, perciò non è stato in grado di rispondere alla richiesta della signora.
Nonostante Broni abbia una storia simile a quella di Casale e nonostante l’incidenza di morti per mesotelioma sia più alta in proporzione agli abitanti, il suo territorio non è riconosciuto come SIN5Sito di interesse nazionale, indica un’area contaminata considerata come pericolosa che necessita di bonifica. È un riconoscimento importante, perché consente di sfoltire l’iter burocratico e in alcuni casi di ottenere finanziamenti da parte dello Stato., ma solo l’area circoscritta alla fabbrica d’amianto Fibronit. Invece a Casale Monferrato questo riconoscimento è avvenuto e comporta numerosi vantaggi.
Le storie delle due città e delle rispettive fabbriche sono molto simili: sia la Fibronit che l’Eternit videro la loro produzione crescere, tra gli anni Sessanta e Settanta vennero ampliati i reparti, ma molti processi lavorativi rimasero manuali, gli ambienti erano polverosi e i sistemi di ventilazione malfunzionanti6B. Zignoli B., Sembrava nevicasse, Milano, FrancoAngeli, 2016..
Le morti e le malattie cominciarono a essere evidenti dopo i primi venti e trent’anni di lavorazione, tuttavia vennero considerate come tumori polmonari generici e il rischio dovuto all’amianto non era tenuto in considerazione.
Le principali malattie legate all’amianto sono il mesotelioma, un tumore che si sviluppa nel mesotelio7Il mesotelio è una membrana che ricopre gli organi interni., e l’asbestosi, una malattia che porta alla perdita graduale della capacità respiratoria. La particolarità di queste malattie, in particolare del mesotelioma è il fatto che l’insorgenza della malattia avviene a venti, trenta o addirittura  quarant’anni di distanza dall’esposizione all’amianto.
Perciò, il danno alla salute che si stava diffondendo nelle due città rimase nascosto per diversi anni, soprattutto perché i primi ad ammalarsi furono gli operai, una classe sociale considerata comunque a rischio. La loro malattia fu normalizzata, ovvero considerata un incidente inevitabile di chi lavorava in fabbrica.
La diffusione dell’amianto in tutto il territorio di Casale e Broni, oltre alla dispersione di polvere dovuta dalla produzione e dalla frantumazione nello stabilimento, fu causata anche dall’approvvigionamento del cosiddetto “polverino”, ovvero lo scarto della lavorazione, il quale veniva regalato o venduto a poco prezzo a tutte le persone che lo richiedevano. Una pratica molto vantaggiosa per le fabbriche, che potevano ridurre i costi di smaltimento dei rifiuti, ma pericolosissima per i cittadini, che portavano nelle loro case una sostanza cancerogena e dannosa per la salute.
Fin qui, i due casi risultano molto simili, ma le cose cominciano a cambiare verso la metà degli anni Settanta. In seguito alla crisi edilizia, le due realtà intrapresero dei percorsi differenti, mentre a Casale Monferrato si generò una forte alleanza tra sindacato, lavoratori e cittadini, i quali pretesero cambiamenti e risposte in favore della salute pubblica, a Broni il sindacato puntò maggiormente alla preservazione dei posti di lavoro, collaborando con l’azienda e producendo una forte campagna di controinformazione riguardo la pericolosità dell’amianto.
L’Eternit ritenendo poco vantaggioso l’utilizzo di materiali alternativi decise di abbandonare la produzione nel 1986, delocalizzandola in Paesi in cui la consapevolezza della dannosità delle fibre d’amianto non era ancora presente.
La fabbrica Fibronit, invece, proseguì le lavorazioni fino al 1993, ben un anno dopo il divieto in Italia. L’azienda provò in tutti i modi a proseguire la produzione dell’amianto, attuò strategie di mediazione con il territorio e le istituzioni, le quali portarono a una rimozione collettiva del disastro dalla memoria della comunità. Oggi le parole mesotelioma e asbestosi sono pesanti, difficili da pronunciare, in questo modo l’amianto rischia di rimanere un nemico invisibile, nascosto per tanti anni da politiche che hanno favorito il benessere economico, danneggiando la salute dei cittadini. A Casale la risposta fu molto diversa, i sindacati, le associazioni ambientaliste e in seguito anche AFEVA ebbero un ruolo importante nel riconoscimento del danno da parte della comunità. Un’alleanza insolita quella dei sindacati e degli ambientalisti, che usualmente vanno  in direzioni diverse, gli uni al mantenimento dei posti di lavoro e gli altri alla salvaguardia dell’ambiente, della salute pubblica e spesso propensi alle chiusure delle fabbriche. In questo caso, per circostanze favorevoli, ovvero il fatto che molti operai fossero prossimi all’età pensionabile, che la sospensione delle attività lavorative fosse voluta dalla stessa fabbrica e grazie alla coesione tra i cittadini, si arrivò alla proibizione dell’uso di amianto e alla “presa in carico” della sofferenza da parte di tutta la comunità8B. Zignoli B., Sembrava nevicasse, Milano, FrancoAngeli, 2016.9.
Come possiamo vedere da questi due esempi, la percezione del rischio e lo stesso riconoscimento del danno sono connessi a moltissimi elementi di natura economica, sociale, politica, istituzionale e culturale. Tutti questi elementi concorrono alla costruzione della vulnerabilità di una determinata popolazione, producendo dei nemici difficili da affrontare perché impercettibili.
L’antropologia può aiutarci a riconoscere i disastri ambientali come delle rappresentazioni e delle percezioni di un avvenimento e in quanto tali spiegabili servendosi di elementi come le credenze, i bisogni degli individui e dei gruppi, le dinamiche di potere e gli interessi economici.

Processi contro l’Eternit
Un altro spazio di analisi che può essere utile a comprendere meglio il contesto di Casale è quello dei procedimenti penali che riguardano i disastri ambientali. I processi di questo tipo possono rappresentare degli spazi performativi di condivisione della sofferenza e della propria storia, durante i quali “le pratiche e i procedimenti giuridici si configurano come strumenti e finalità che definiscono relazioni di causalità e significati, rispondendo alla domanda: che cos’e la giustizia?”10A.F. Ravenda, Carbone. Inquinamento industriale, salute e politica a Brindisi, Milano, Meltemi, 2018..

Foto di Giovanna Luciano

I procedimenti penali contro l’Eternit sono stati diversi, ma è il caso di porre l’accento sulle udienze del processo contro Stephan Schmidheiny, terminato quest’anno con la condanna a dodici anni per omicidio colposo aggravato e al risarcimento dei danni ai cittadini e al comune di Casale Monferrato.
In queste udienze si sono susseguite ore di spiegazioni, presentazioni e definizioni mediche, scientifiche, statistiche, sia da parte dell’accusa, che da parte della difesa con l’obiettivo comune di avvalorare la propria versione dei fatti. Tra le teorie riportate dalla difesa dell’imputato c’era la messa in discussione dei casi di mesotelioma presentati. Un anatomopatologo11L’anatomopatologo è un medico specializzato in anatomia patologica, si occupa di formulare diagnosi di patologie attraverso l’analisi micro e macro dei tessuti. ha analizzato tutti i casi suddividendoli in possibili, probabili e certi, in base agli strumenti utilizzati per fare le diagnosi. I mesoteliomi più recenti venivano classificati come certi perché gli strumenti erano considerati più validi, ma per quelli dei decenni precedenti sono stati utilizzati i termini probabili e possibili, in quanto non rispettavano gli standard odierni. Questa esposizione ha generato un’ulteriore sofferenza tra i familiari delle vittime, un dolore che ritorna in ogni udienza e sentenza ritenuta ingiusta, perché non riconosce la causa di quelle morti e malattie.
Un altro dibattito avvenuto durante l’udienza ha riguardato l’influenza delle esposizioni prolungate all’amianto. Secondo la difesa dell’imputato non era importante quante fibre erano state inalate dalle persone, ma erano le prime ad essere state respirate ad aver inciso maggiormente nello sviluppo della malattia. Invece, per l’accusa e la comunità scientifica, maggiore è la quantità di fibre inalate e maggiore è la probabilità di sviluppare un mesotelioma. Questo punto è stato molto importante per la difesa dell’imputato, la quale ha cercato di affermare che la responsabilità dello sviluppo dei tumori non fosse di Schmidheiny, ma del suo predecessore, il quale era stato proprietario della fabbrica per molto più tempo e perciò aveva permesso l’esposizione all’amianto di molte persone per un periodo di tempo più lungo.
Nonostante il nesso causale tra l’esposizione all’amianto e l’insorgenza di tumori sia un’evidenza comprovata ormai da decine di anni, le strategie di entrambe le parti coinvolte nel processo vedono comunque l’utilizzo di metodi scientifici per mettere in discussione le teorie proposte dall’avversario. 
La produzione scientifica riguardo l’amianto è piuttosto controversa: da un lato si dimostra il nesso di causalità tra esposizioni e insorgenza delle malattie, dall’altro si cerca di avvalorare tesi che difendono i dirigenti delle aziende che ancora lo utilizzano.
La conoscenza scientifica, in alcuni casi, attraverso un processo di “astrazione”, può produrre conoscenze distaccate dalla realtà, semplificate e quindi più facilmente manipolabili12A. Petryna, Life Exposed: Biological Citizens After Chernobyl, Princeton, Princeton University Press, 2013..
Nel caso di Casale Monferrato, estrapolare i dati scientifici dal contesto può produrre teorie apparentemente valide, che tuttavia mettono in discussione il nesso causale tra inquinamento e morti, comprovato in questa città, favorendo la difesa degli imprenditori delle fabbriche inquinanti.
Se invece adottiamo una visione scientifica più vicina alla realtà, alle storie delle malattie, alla presenza della fabbrica sul territorio, non solo a livello fisico, ma anche relazionale, possiamo scoprire che il danno ambientale è avvenuto e che ci sono dei responsabili.
Proprio grazie a questa astrazione scientifica i proprietari delle fabbriche hanno tenuto nascosto il problema dell’amianto alle persone esposte e continuano a farlo tutt’ora, promuovendo una logica di contenimento del rischio che consente loro di proseguire l’estrazione e la lavorazione di questo materiale in altri Paesi.
La conoscenza scientifica non è un’entità a sé stante, astratta ed estraniata dalla realtà, dai processi e dalle dinamiche politiche, culturali ed economiche che influenzano ogni ambito della vita umana, anzi ne è essa stessa produttrice e prodotto. La scienza ci ha permesso di conoscere la pericolosità dell’amianto e di capire che è meglio non utilizzarlo, ma allo stesso tempo consente di proseguire la produzione laddove esistono le condizioni per farlo.
In un contesto in cui è avvenuto o si sta verificando un disastro ambientale, la scienza viene negoziata all’interno di “campi di causazione”13A.F. Ravenda, Carbone. Inquinamento industriale, salute e politica a Brindisi, Milano, Meltemi, 2018. Per approfondire questo termine: https://journals.openedition.org/aam/2507#tocto1n3., ovvero quegli spazi relazionali in cui il nesso causale tra malattie e inquinamento viene costantemente ridefinito dall’interazione e dai conflitti che si generano tra persone esposte al danno e dinamiche di potere in grado di classificare e riconoscere la violenza che è stata inflitta sui loro corpi. Avviene, perciò, una rappresentazione, da parte di tutte le parti coinvolte, della correlazione tra malattie e inquinamento e della responsabilità del danno subito dalla popolazione. Per questo motivo è possibile osservare durante le udienze la produzione di conoscenze scientifiche “oggettive” e allo stesso tempo contraddittorie, che mettono in discussione l’una i risultati dell’altra; oppure osservare in contestati che hanno vissuto lo stesso disastro ambientale, dei risultati molto diversi tra loro.
Analizzare un contesto come quello di Casale Monferrato dal solo punto di vista scientifico potrebbe risultare riduttivo e limitato, proprio perché potrebbero rimanere celate alcune delle cause che hanno portato allo sviluppo del disastro o al suo mancato riconoscimento.


Riferimenti:

Ligi G., Antropologia dei disastri, Roma-Bari, Laterza, 2014;

Petryna A., Life Exposed: Biological Citizens After Chernobyl, Princeton, Princeton University Press, 2013;

Ravenda A.F., Carbone. Inquinamento industriale, salute e politica a Brindisi, Milano, Meltemi, 2018;

Zignoli B., Sembrava nevicasse. La Eternit di Casale Monferrato e la Fibronit di Broni: due comunità di fronte all’amianto, Milano, FrancoAngeli, 2016.