Fare la Murga: l’arte della protesta

di Eleonora Grossi, Katarzyna Piotrowicz, Rebecca Sabatini e Francesco Coletta
Pubblicato il 18 febbraio 2023

Questo articolo è frutto di un lavoro congiunto di ricerca realizzato tra gennaio e marzo 2022. Il primo paragrafo è stato redatto da Eleonora Grossi, il secondo da Katarzyna Piotrowicz, il terzo da Rebecca Sabatini e il quarto da Francesco Coletta (collaboratore esterno della rivista nonché membro della Folamurga).


Tra i continenti
I battiti dei rullanti, il fracasso del bombo e dei piatti insieme a canti e danze di rivolta si levano nell’Uruguay di fine ‘800: è il suono della neonata murga uruguaya, eco della voce degli schiavi afro-discendenti. Era durante il carnevale che questi uomini e queste donne ribaltavano le gerarchie sociali, indossando al rovescio i vestiti dei loro padroni. Questa potente metafora visiva prenderà il nome di levita, il tipico costume della Murga, arte diffusa ormai in tutto il mondo.
È difficile descrivere un fenomeno così camaleontico. La Murga è un corpo in continuo movimento, per questo non è facile rintracciare le sue origini precise, dato il suo spirito migrante, è però chiara sin da subito la sua natura rivoluzionaria e carnevalesca. Sono stati gli stessi schiavi africani a diffondere il fenomeno anche in Argentina, dando vita alla cosiddetta murga porteña, elemento centrale del carnevale di Buenos Aires.
Questa “arte decoloniale” si serve di potenti strumenti comunicativi: vengono utilizzate percussioni come il bombo, il surdo e il rullante, sui cui ritmi incalzanti danzano corpi che squarciano il tempo degli schiavi e dei padroni. Si spezzano le catene simboliche attraverso salti e calci in aria – che richiamano balli come la capoeira – accompagnati da urla e canti ispirati alla tradizione latino-americana, dal carattere spesso ironico e satirico.
Durante la dittatura militare argentina la Murga venne proibita proprio a causa della sua connotazione ribelle e la sua insofferenza nei confronti del potere. Ma questo non riuscì a spegnere il fuoco che accende gli animi dei murgueros, il cui fervore si diffuse in tutto il mondo, raggiungendo anche il suolo italiano.
Nel 2001 nacque nella capitale la prima Murga italiana, la Sin Permiso, creata da un gruppo di italo-argentini che insegnarono quest’arte ad altri, conducendo alla nascita della MalaMurga. La Murga in Italia è sinonimo di militanza, assorbe l’originario spirito di dissenso e ribaltamento delle gerarchie e lo rigetta nelle strade. È possibile incontrare i murgueros in diverse manifestazioni e cortei, poiché scendere in piazza con i colori della propria Murga significa condividere i valori di quella protesta, che può spaziare dalle questioni ambientali fino al supporto della comunità LGBTQIA+, essendo la Murga stessa un’arte queer.

Fonte: FB – Folamurga di Torino

Il movimento divenne presto irrefrenabile e nel 2020 giunse anche a Torino: si tratta della Folamurga, che deve il suo nome al gioco di parole “fo la murga” (fare la murga), primo sintomo del suo carattere multiculturale e multiregionale. A causa dell’emergenza Covid il movimento ha dovuto aspettare circa un anno per poter essere realmente sé stesso, il numero dei membri è molto variabile, ma non è mai inferiore a venti persone. Manituana è il centro culturale autogestito dove i murgueros si esercitano un giorno alla settimana e tengono le loro riunioni. Generalmente il gruppo si suddivide in due: chi prova i differenti ritmi con i tre strumenti della murga porteña e chi esegue le coreografie delle varie danze. È un ambiente fluido, inclusivo e variopinto, quello che si percepisce gravitando intorno a loro è un’aria di famiglia. Una famiglia scelta, formata da individui spinti da motivazioni diverse, spesso anche personali, uniti dall’impulso di comunicare con forza un ideale rivoluzionario. Il gruppo si confronta sulle cause da supportare a partire dai valori condivisi all’interno del gruppo e che ne fanno da collante. Molti membri credono che la forza della Murga risieda proprio nell’immediatezza del suo messaggio, fatto da urla di protesta, danze energiche e colpi potenti, che non ha bisogno di troppe parole. Un messaggio pacifico, non violento, che colora i cortei torinesi di rosa e azzurro, i colori tipici della Folamurga.

Rivolta e fragilità1Questo paragrafo è stato scritto grazie alla preziosa collaborazione dell’antropologa Caterina Gallerani, autrice della tesi di laurea Soggettività in movimento. L’arte di strada della Murga a Milano, e delle sue compagne murgere facenti parte della murga milanese.
L’arrivo della Murga non sempre suscita reazioni positive. Non tutti condividono questa modalità di opposizione, etichettando a volte i performer come dei fricchettomurgueri – tanto rumore e scena con scarso contenuto. Non tutti comprendono che anche le battaglie serie possono essere combattute in modo alternativo e che non sempre quello migliore corrisponde ai complicati discorsi dei politicanti o ad azioni violente per conferire maggiore impatto alla protesta in sé. Chi si ferma alle apparenze senza voler andare a fondo vede solo i vestiti multicolore, il trucco, i corpi in movimento delle ballerine e la musica assordante. Ma chi capisce lo spirito murguero, originato proprio dalla solidarietà popolare, sa apprezzare la sua sostanza folk, chiara e inclusiva. La Murga vanta origini popolari, nasce per rappresentare i più deboli, tutti coloro che nonostante la posizione svantaggiata si mettono in prima fila per opporsi all’oppressore e lo fanno per esprimere coraggiosamente e con intelligenza il proprio dissenso. Il buffo, solo apparentemente ludico, custodisce una serietà di fondo di chi soffre o condivide la sofferenza altrui. Il frac indossato al contrario e il cilindro rappresentano “il padrone”, simbolo di tutto quello che necessita di un radicale cambiamento. Ogni trasformazione comporta un iniziale disordine. La Murga ribalta la situazione attuale creando un’instabilità controllata. Il gioco collettivo che propone al pubblico è liberatorio e nello stesso tempo comunica la forza del gruppo.

Foto di Clio Corradi

Tutte le attività murguere tendono a influenzare positivamente chi ne prende parte. Un significativo cambiamento si percepisce sia a livello individuale, in un contesto privato, sia a quello legato alle performance artistiche condivise con altri membri del gruppo. La maggiore consapevolezza di sé, la capacità di posizionarsi all’interno di una società sempre più complessa, permettono di porre basi più solide alle relazioni interpersonali. La condivisione che avviene all’interno del gruppo non è soltanto di carattere ideologico, focalizzato ed espresso attraverso l’arte; riguarda anche lo spazio utilizzato per le prove e per le esibizioni pubbliche, uno spazio non identitario e neutrale che diventa “occupato”, assumendo un significato nuovo. Uno degli obiettivi più rilevanti della Murga è quello di trasmettere alla comunità un messaggio colmo di impegno politico e sociale, liberando l’Io dalle stratificazioni culturali superflue e rivelando la sua natura profonda.
Occorre ricordare però che ogni Murga è una piccola comunità composta da singoli individui che non sempre agiscono all’unisono, soprattutto di fronte alle problematiche e alle decisioni da prendere collettivamente. Questa naturale diversità individuale può sfociare in un conflitto più o meno aperto e portare a un allontanamento dal gruppo e, eventualmente, alla creazione di un corpo artistico nuovo basato sugli elementi che sono venuti a mancare nell’esperienza precedente, con la speranza di non ricreare quei meccanismi organizzativi e gestionali che avevano causato la scissione dal gruppo madre. Uno dei punti nevralgici da affrontare all’interno del gruppo è rappresentato talvolta dalla scelta delle manifestazioni a cui prendere parte. Per i membri non è sempre facile trovare un accordo comune, pur condividendo gli stessi caratteri ideologico-identitari. Ci si interroga sulla propria disponibilità e impegno all’interno del gruppo, sulla possibilità di un intervento delle forze dell’ordine, oppure sul significato talvolta funesto della manifestazione, che legata ad un fatto tragico fa domandare se un rispettoso silenzio sia più appropriato del rumore ritmico delle percussioni per scuotere la coscienza di chi partecipa.
In altre occasioni la partecipazione della Murga è esplicitamente richiesta e indiscutibile. Questo accade ad esempio quando si decide di supportare la comunità montana della Valle di Susa nella sua lotta contro la TAV o di partecipare alle manifestazioni del movimento transnazionale Non una di meno contro i femminicidi. Chi fa parte della Murga vive la trasferta con uno spirito speciale: il viaggio stesso dà la possibilità ai partecipanti di percepire con forza un particolare senso di unione e condivisione.  La Murga comunica anche attraverso la sua fragilità: si pensi all’esposizione del corpo delle ballerine e all’uso degli strumenti che in ogni situazione vanno salvaguardati e protetti. Si tratta tuttavia di una fragilità apparente, contrastata dal potente messaggio della performance: gesti marcati, musica intensa, forte e disturbante. È una presenza incisiva e non sempre accettata.         
Quello che non viene mai a mancare nella Murga è il tentativo di dialogare con chi si ha di fronte, ed è questa forza comunicativa che permette di stabilire l’ordine dei molteplici mondi in cui viviamo. La Murga porta chi ne fa parte a riposizionarsi innescando un’analisi critica di sé; i messaggi che le sue performance trasmettono catalizzano l’attenzione degli spettatori proprio perché contengono una profonda elaborazione individuale. La sua fragilità, messa al servizio degli oppressi, dà un forte segnale di speranza, una presa di posizione evidente e irremovibile che non fa passi indietro. Vuole comunicare per essere ascoltata e lo fa attraverso la sua arte.

Murga festiva
La Murga di Torino è nata con un obiettivo chiaro, quello di proporre un’alternativa alle forme canoniche di manifestazione di dissenso, appropriandosi di un mezzo, quello dell’arte, generalmente relegato ad altri ambiti, soprattutto nella storia recente e nel contesto italiano. I due elementi cardine intorno ai quali la vita e l’attività della Murga si costruiscono, la danza e la musica, sono i mezzi tramite cui viene comunicata un’urgenza, viene presa una posizione, muovendosi lungo le coordinate di un attivismo apartitico e il più possibile non violento. La partecipazione della Murga alle manifestazioni di protesta che sposano gli stessi principi che hanno mosso i fondatori del gruppo ad unirsi (antirazzismo, antifascismo e sostegno alla comunità LGBTQIA+) si concretizza in un’appendice festiva ai cortei. Si utilizza qui il termine festivo nel senso letterale del termine, ossia quello che fa riferimento ad un tempo qualitativamente diverso rispetto a quello ordinario, più intenso da un punto di vista sociale ed emozionale. 
Nell’immaginario comune parlare di festa oggi vuol dire fare riferimento ad un momento ricreativo, distensivo, non necessariamente legato ad una prospettiva di condivisione e più spesso connesso alla sfera del consumismo. Nel passato, invece, il momento festivo aveva una dimensione collettiva, cerimoniale e spettacolare che sono oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, venute meno a favore di un’equazione che prevede la coincidenza tra tempo di festa e tempo libero. Nell’attività della Murga però queste antiche e nuove dimensioni si ri-fondono e rappresentano la ragion d’essere del gruppo stesso. I murgueri quando vestono i loro panni ufficiali entrano fisicamente in una dimensione qualitativamente diversa, più densa e partecipata, e i corpi di ciascuno perdono i confini della propria individualità in favore di una collettività effervescente, nell’unione dei ritmi e delle danze. “Vestire i panni” non è un’espressione utilizzata solo in senso metaforico ma anche in senso letterale, dal momento che, come è ormai noto, mettere la Murga in azione vuol dire truccare i propri membri e dotarli di abiti e accessori colorati, simboli del cambio di “densità temporale” a cui si faceva riferimento. Questo traslarsi simbolicamente in tale “dimensione altra” tramite la trasformazione estetica sancisce ufficialmente il passaggio, l’ingresso, nel momento collettivo e cerimoniale dell’essere murgueri: comunicatori e attivisti nel contesto pubblico. Per la nostra cultura, la maschera è un dispositivo utilizzato per nascondere l’identità, per proteggere dallo sguardo ciò che non vuole essere rivelato e che solo in un momento ben specifico può essere reso noto. Nella Grecia antica, invece, non esisteva differenza di significato tra la parola volto e la parola maschera. Si trattava di due concetti coincidenti con cui ci si riferiva ad un’identità manifesta, mostrata e affermata, tramite cui si voleva rivelare qualcosa al prossimo. I volti truccati dei murgueri si trovano a cavallo tra queste due concezioni. Sono il simbolo dell’eclissi della persona individuale e contemporaneamente l’enfatizzazione dell’identità ideologica che vuole essere mostrata agli altri.

Foto di Clio Corradi

L’atteggiamento festivo, nell’accezione appena descritta, è dunque l’elemento chiave nella strategia partecipativa e comunicativa del gruppo, che unisce la tensione sovversiva della festa delle origini a quella della protesta concreta di tipo contemporaneo. Questo elemento può risultare difficile da amalgamare al contesto nei momenti sempre più frequenti di deriva violenta delle manifestazioni, ma risulta in grado di auto-proteggersi dai rischi di snaturamento che queste stesse derive potrebbero comportare: la presenza degli strumenti musicali impone una barriera fisica, ma anche ideologica, tra i corpi dei murgueri e quelli delle forze dell’ordine o degli altri manifestanti. Rappresenta l’elemento distintivo della Murga e funge da promemoria di tale differenziazione anche nei momenti più densi e concitati. Gli strumenti infatti vanno tutelati nella stessa maniera in cui va tutelata l’identità del gruppo e la sua idea fondatrice.
Il corpo della Murga, a sua volta formato dai corpi circensi dei suoi componenti, si muove per le strade al ritmo delle percussioni, costruendo un surplus sensoriale e liberando, tramite le dinamiche della performance musicale coreografata, l’energia sovversiva accumulata grazie alla comunione di intenti e movimenti.

L’ethos invisibile
Partecipando attivamente alle prove si ha accesso a una realtà murguera più intima e speciale. Con uno strumento tra le mani, gomito a gomito con gli altri musicisti, si ha l’opportunità di assistere all’intreccio dei rapporti, alle interazioni tra i componenti e ai diversi contributi personali che costituiscono la colonna vertebrale del gruppo; e allo stesso tempo, comprendere gli attriti e le tensioni che pure contribuiscono a far risuonare con più energia la pelle dei tamburi.
Oltre i toni festivi, i colori e il trucco, oltre la performance artistica intrisa di attivismo politico, la Folamurga è costituita da una responsabilità collettiva, da un impegno rintracciabile fra le prove settimanali e le assemblee, fra le comunicazioni ufficiali e i sondaggi su Telegram.
Un giorno alla settimana nel grande cortile del Manituana ci si ritrova in un clima rilassato, tra chiacchiere e birre condivise, finché gli strumenti non vengono imbracciati e le mazze cominciano a battere su pelli e piattini. In pochi minuti il gruppo dei musicisti si raccoglie in cerchio, quello dei ballerini in un altro. E l’inconfondibile fischio di inizio si risolve in un boato che dirompe per tutto il quartiere.
Le prove vanno avanti con poche interruzioni, nonostante gli errori e lo sforzo di reggere a lungo i ritmi, e se le energie calano è facile che qualcuno cerchi di risollevarle con un urlo a tempo sul groove, per ridestare l’entusiasmo e la “presa-bene” generale.
Più trafficato è il crocevia dei gruppi WhatsApp e Telegram, che contano più di sessanta partecipanti. Qui si raccolgono le comunicazioni ufficiali che riassumono le decisioni e le proposte avanzate durante le prove o in assemblea. Il linguaggio è caparbiamente inclusivo: u, schwa e chiocciola neutralizzano il genere dei plurali; e per stimolare quella verve energica e frizzante che contraddistingue prove e parate abbondano emoticons di fuochi, tamburi e megafoni. Anche in questi mezzi digitali si riscontra impegno e coordinazione. Dalla descrizione del gruppo WhatsApp, infatti, si può accedere al drive in cui sono archiviati i video dei ritmi e dei relativi segni (alcuni ereditati da altre murghe italiane), una playlist condivisa su Spotify, infine il link per partecipare da remoto alle assemblee. Con i sondaggi di Telegram invece si garantisce la possibilità di esprimere la propria presenza agli eventi nonché la propria opinione in merito alle decisioni.
Se durante le prove l’aspetto artistico ha la priorità, in assemblea l’attenzione si sposta su organizzazione, autoanalisi e coesione. Indire un’assemblea è una richiesta di confronto e partecipazione. È lo spazio dove ognuno rivendica la propria individualità e spende la propria voce per contribuire alla discussione collettiva, resa possibile dalla punteggiatura delle mani – chiedere la parola, chiarimenti tecnici, esprimere supporto, ecc. L’atmosfera è seria, predispone all’ascolto e permette un confronto più sincero e inclusivo. Dopo un anno di parate e di esperienze cruciali – la gita a Bussana Vecchia, il carnevale di Scampia, manifestazioni poco organizzate o non autorizzate con le forze dell’ordine antagoniste – si avverte la necessità di riconsiderare l’identità collettiva, ravvivare i rapporti personali e comprendere la direzione sociale e politica del gruppo.
È in queste occasioni che si osserva per la prima volta la complessità del progetto. L’ethos festoso e l’entusiasmo sono solo la maschera eletta, quella visibile, ciò che pervade le strade sotto forma di colori suoni e movimenti. Eppure, ciò che permea il tessuto murguero, ciò che gli permette di risuonare, è la dedizione, la responsabilità condivisa e l’impegno personale, l’ “accollo”.
La scelta di dedicarsi a qualcosa di così utile e potente comporta uno sforzo sotteso, un dispendio di energie che non si recupera solo con l’euforia delle manifestazioni. Le assemblee sono utili a richiamare ognuno alla consapevolezza di essere parte del progetto, di riconsiderare le intenzioni personali che si esprimono in ogni colpo di tamburo e passo di danza sull’asfalto. Folamurga è coesione, impegno artistico, identità politica, nonché cura del luogo Manituana – Laboratorio Culturale Autogestito, che ogni giorno porta avanti cause e progetti, come la lotta contro l’interruzione dell’allaccio idrico della struttura da parte del comune (qui il contributo della Folamurga al progetto H2NO). Ballando sul mondo a testa in giù, si fa dell’arte una protesta e della protesta una forma d’arte; si fa politica con il movimento e non solo da dentro il movimento.


Riferimenti:

Canal Encuentro, Pequeños Universos IV: Murga, Uruguay (capítulo completo) – Canal Encuentro, <https://www.youtube.com/watch?v=PhUPfCEn_Gg&t=594s&ab_channel=CanalEncuentro>;

Fresu G., La Murga latino-americana: divertimento e critica sociale, «La macchina sognante», 16 dicembre 2019, <http://www.lamacchinasognante.com/la-murga-latino-americana-divertimento-e-critica-sociale-grazia-fresu/>;

Laboratorio Documental La Murga, LA MURGA ARGENTINA – Documental Expositivo sobre la historia del género, <https://www.youtube.com/watch?v=F6KgUY9JmA4&t=120s>;

Spineto N., La festa, Roma-Bari, Laterza, 2015.