Memorie d’Australia

La poesia postcoloniale di Oodgeroo Noonuccal — di Francesca Benna
Pubblicato il 16 aprile 2024

Blessed with everything she prized,
Trained and safe and civilized,
Much she has that they have not,
But is hers the happier lot?
Lonely in her paradise Cookalingee sits and cries
(Oodgeroo Noonuccal, Cookalingee)


L’eredità culturale tramandata dagli Aborigeni australiani è molto preziosa. Le storie del Dreamtime, l’arte e la musica, la spiritualità e il loro rapporto armonioso con la terra affondano le radici in millenni di storia.

Oodgeroo Noonuccal (1949)
James and Pamela Crawford, Copyrighted free use, via Wikimedia Commons [extracted image from the original picture]

Il tempo del sogno, Dreamtime o Dreaming (usato per sottolineare la continuità quantitativa e qualitativa del tempo), coincide con l’inizio del mondo, o tempo della creazione: altjeringa, tjukurrpa. The Law è il termine che più si addice per descrivere questo concetto, in quanto si tratta della Legge, un processo che fa da fondamento all’universo1B. Chatwin, Le Vie dei Canti, Milano, Adelphi, 1987, p. 16.. I racconti, cioè i miti degli Aborigeni australiani, sono estremamente dipendenti da altri tipi di segni non-verbali. Questi racconti, infatti, sviluppano pienamente il loro senso soltanto in stretto rapporto con luoghi e canti sacri ad essi legati, i cui segreti, per tradizione, sono accessibili a pochi eletti, ovvero gli anziani iniziati delle tribù.
I racconti del tempo del sogno degli aborigeni australiani sono giunti a noi attraverso una millenaria tradizione orale, risalente a circa seimila anni fa, e soltanto verso l’inizio degli anni Settanta è stato avviato un lavoro di trascrizione. Il tema di questo articolo, nato dall’esplorazione della cultura aborigena durante due anni di campo sul territorio australiano, vuole ricordare la produzione poetica di Kath Walker (1920-1993), meglio conosciuta come Oodgeroo della tribù Noonuccal o Nunukul o meglio ancora Moondjan della zona di Moreton Bay, non lontano da Brisbane. Scrittrice, poetessa e attivista indigena australiana, Oodgeroo Noonuccal, con le sue poesie, è in grado di far immergere chiunque legga nel vasto e lontano mondo aborigeno australiano. Nei suoi versi intensi è tematizzato il rapporto con il presente e il passato, ed è esplicitato come il presente sia incidentale: una parentesi quasi passeggera, incapace di dare senso a un’identità che si sostanzia, appunto, solamente nel passato.
Il vissuto che il dettato poetico di Oodgeroo costruisce nei suoi componimenti ha la peculiarità di continuare ad “abitare” il presente2F. Di Blasio, M. Zanoletti, Oodgeroo Noonuccal, con «We Are Going», Trento, Università degli Studi di Trento, 2013, pag 8.. La storia d’Australia, infatti, è effettivamente divisa in due e la parte più recente, quella coloniale, non occupa che gli ultimi due secoli o poco più. È l’“accidental present” dei versi di Oodgeroo. L’altra parte della storia, ben più lunga, si dipana in un isolamento durato 40.000 anni, durante il quale le numerose tribù indigene del subcontinente abitarono un territorio vastissimo e spesso ostile, stabilendo con esso un rapporto simbiotico, empatico ed esclusivo.
Oodgeroo Noonuccal emerge come interprete centrale di una rinascita culturale che, ormai radicata nelle comunità indigene, si esprime attraverso varie forme di creatività artistica. Le espressioni artistiche, che abbracciano tutti i linguaggi, dal figurativo al letterario, sono diventate il cuore pulsante in cui la cultura indigena trova il terreno fertile per la sua ricostruzione. La produzione letteraria assume la forma ibrida peculiare delle letterature post-coloniali, contrariamente alla lunga tradizione di oralità dell’epica tradizionale, questa letteratura si manifesta come un contro discorso politico-culturale scritto nella lingua degli invasori, l’inglese. La produzione di Oodgeroo Noonuccal, e in particolare l’opera We Are Going, si configura come testimone della temperie culturale dell’epoca e delle peculiarità della fioritura letteraria indigena. Tale raccolta permette infatti di riscrivere e riconoscere, in trenta poesie, la storia coloniale e millenaria di un popolo. Storia, quella degli aborigeni australiani, fatta di lunghi cammini, di popolazioni composte da coloro che possiamo chiamare “nomadi sedentari”, cioè popolazioni non stanziali, che vivevano spostandosi continuamente ma solo in regioni geografiche molto ben delimitate e ben precise.
Secondo la cultura aborigena, come si è detto prima, tutte le cose sarebbero state create durante un tempo mitologico, noto come il “Tempo del sogno” (Dreamtime). In quel tempo, gli antenati mitologici avrebbero dato vita alle cose con il loro canto e avrebbero lasciato le tracce del proprio passaggio sulla terra attraverso quelle che erano chiamate “Piste del sogno”: percorsi sempre uguali a sé stessi, lungo i quali le numerose tribù aborigene si muovevano incessantemente in un viaggio che durava tutta la vita. Forse proprio a quelle piste del sogno, ossia a quel mistero legato al concetto di uno stile di vita nomade, può ricollegarsi l’interesse del mondo occidentale verso l’Australia3B. Chatwin, Le vie dei canti, Milano, Adelphi, 1987.. Bruce Chatwin, nei suoi testi Le Vie dei Canti e meglio ancora nell’opera conosciuta come Anatomia dell’Irrequietezza, descrive così l’importanza del muoversi, del percorrere strade e vite:

L’uomo, umanizzandosi, aveva acquisito insieme alle gambe diritte e al passo aitante un istinto migratorio, l’impulso a varcare lunghe distanze nel corso delle stagioni; questo impulso era inseparabile dal sistema nervoso centrale; e quando era tarpato da condizioni di vita sedentarie trovava sfogo nella violenza, nell’avidità, nella ricerca di prestigio, nella smania di nuovo. Ciò spiegherebbe perché le società mobili come gli zingari siano egualitarie, libere dalle cose e restie al cambiamento; e anche perché, nell’intento di ristabilire l’armonia dello stato primigenio, tutti i grandi maestri: Buddha, Lao Tse, San Francesco, abbiano messo al centro del loro messaggio il pellegrinaggio perpetuo, e raccomandato letteralmente ai loro discepoli di seguire la via.4B. Chatwin, Anatomia dell’Irrequietezza, Adelphi, 1996, pag.3

Non a caso la scrittrice Oodgeroo Noonuccal, nella poesia proposta in apertura, racconta di Cookalingee, seduta e piangente. Cookalingee, antroponimo metà inglese metà indigeno, forma contratta per cook for whites (cuoca per i bianchi) è il nome con cui veniva chiamata l’amica di Oodgeroo, Elsie Lewis (alla quale la scrittrice si riferisce anche con il termine lubra, oggi derogativo per donna aborigena), che lavorava come cuoca in una stazione del Queensland orientale. La sua figura statica si contrappone, nel corso dell’intera poesia, a quella dei viandanti aborigeni affamati ed erranti, che vede passare ogni giorno5Sees outside her kitchen door / Ragged band of her own race, /Hungry nomads, black of face. / Never begging, they stand by, / Silent, waiting, wild and shy, / For they know that in their need / Cookalingee give them feed. (vv. 4-9). e ai quali lei offre del cibo. Nonostante Cookalingee sia costretta a osservare le norme dei bianchi, non si è dimenticata delle antiche leggi della tribù6Lubra still / Spite of white-man station drill / Knows the tribal laws of old. (vv. 15-17)., che prescrivono di condividere con gli altri ciò che possiedi7Share with others what you hold. (v. 18) e che suggeriscono che ciò che hai appartiene a tutti8What we have belongs to all. (v. 19).. Dopo essersi rifocillati, i viandanti riprendono spensierati il loro cammino e a lei non rimane altro che aspettare il prossimo gruppo.
Oltre a voler ribadire il concetto che la legge degli aborigeni australiani è basata su condivisione e solidarietà, l’autrice gioca con i verbi di movimento e di staticità, a sottolineare il rifiuto da parte degli aborigeni viandanti di incatenarsi in un unico luogo, sottolineando come lei, invece, osservi ferma il mondo dietro le pareti della sua cucina, non trovando pace. Come scrive Chatwin in Le Vie dei Canti:

Prima dell’arrivo dei bianchi […] in Australia nessuno era senza terra, poiché tutti, uomini e donne, ereditavano in proprietà esclusiva un pezzo del canto dell’Antenato e la striscia di terra su cui esso passava. […] L’uomo che andava in walkabout compiva un viaggio rituale: calcava le orme del suo Antenato. Cantava le strofe dell’Antenato senza cambiare una parola né una nota – e così ricreava il creato […] Di notte, mentre vegliavo sotto le stelle, le città dell’Occidente mi sembravano tristi e aliene […].9B. Chatwin, Le Vie dei Canti, Milano, Adelphi, 1987.

Per Chatwin e per la poetessa Oodgeroo, l’uomo cerca fuori dalle mura il senso di sé e solamente perdendosi si ritrova.
La tribù prosegue la propria marcia, lasciando sola Cookalingee, e, al contrario dei suoi ospiti di passaggio, la protagonista non è spensierata, sente le lacrime offuscarle la vista, mentre osserva i viandanti aborigeni andarsene, seguendo il corso naturale delle cose. Bastano la stabilità ed il denaro ad assicurarle la stessa felicità? Si chiede Cookalingee. Numerosi sono i vantaggi e molte le cose di cui i nomadi non dispongono e che solo la “civiltà” sa garantirle10Come si legge nei versi ad inizio articolo (vv. 39-41)., ma Cookalinge sa di vivere in un limbo, tra inferno e paradiso, tra sicurezze sociali e solitudine, un non trovare mai pace rimanendo statici ben espresso in questa poesia. Il futuro che la poetessa auspica è un futuro di convivenza pacifica, di integrazione, di arricchimento armonico, attraverso un benefico confronto culturale. Il suo attivismo pervade i versi e dà nuova luce a temi estremamente contemporanei.


Riferimenti:

Chatwin B., Le Vie dei Canti, Milano, Adelphi, 1987;
Anatomia dell’Irrequietezza, Adelphi, 1996;

Di Blasio F., The Pelican and the Wintamarra Tree: voci della letteratura aborigena australiana, Trenot, Università degli Studi di Trento, 2005;

Di Blasio F., Zanoletti M., Oodgeroo Noonuccal, con «We Are Going», Trento, Università degli Studi di Trento, 2013;

Petrilli S., Il tempo del sogno o dell’inizio del mondo nei racconti degli aborigeni australiani, «Athanor. Semiotica, Filosofia, Arte, Letteratura», 6, 1995.