Diario: AnthroDay Torino, 2024

Tre continenti in un solo quartiere
Illustrazioni: Vale Capo
Testo: Mauro Viviani, Paolo Tortomano, Barbara Delfino, Valentina Capo

Estratti dal diario di campo illustrato realizzato durante il “Laboratorio Scrivere l’antropologia”, in occasione degli AnthroDay 2024. Torino, sabato 17 febbraio, quartiere Vanchiglia.


Scendiamo in campo (un quartiere in zona Vanchiglietta) in quattro, con esperienze e formazioni diverse ma tutti interessati al tema dell’immigrazione.
Incontriamo Thomas che, arrivato dalla Nigeria 5 anni fa, si mantiene tenendo pulite strade e piazze della città in cambio di un’offerta.
È in Italia solo, parla esclusivamente inglese, ma vuole restare a Torino perché è una città tranquilla che gli piace.
Sulla stessa piazza spazzata da Thomas si affaccia un minimarket gestito da tre uomini che hanno impiegato 2 anni per raggiungere l’Italia dal Bangladesh.
Si sentono ben inseriti nel contesto italiano grazie a progetti di accoglienza che danno loro la speranza di un ricongiungimento con la propria famiglia rimasta in patria.
Parlano italiano, urdu, pashto e inglese.
Percorriamo poche centinaia di metri per tornare al punto di partenza e in un negozio di ricostruzione unghie incontriamo Ruy, una ragazza cinese di 28 anni che ha iniziato a studiare il mestiere in Cina per completare la sua formazione in Italia.
È in Italia da 6 anni, non torna in Cina da 3, ma pur piacendole il nostro Paese pensa che tornerà in Cina.

L’indagine sul campo è stata relativamente breve, ma ci ha permesso di confrontarci su un paio di riflessioni che ci hanno trovato tutti d’accordo:

  • il colore della pelle e la nazionalità influiscono sui diversi percorsi di inclusione lavorativa. Mentre chi proviene dall’Asia ha canali lavorativi più strutturati, sembra che quelli per gli immigrati dall’Africa siano più frammentati; in alcuni casi, come quello di Thomas, addirittura si interrompono.
  • in un solo quartiere e incontrando 3 continenti diversi, l’Africa, l’Asia e non ultima l’Europa con cui gli immigrati sono obbligati a confrontarsi quotidianamente, ci si rende conto che il “materiale” che si può raccogliere sul campo per ricerche e analisi antropologiche è molto vario e vasto.